CEO illimity
Il nostro CEO Corrado Passera, ospite all’evento di benvenuto ai nuovi studenti dei corsi di laurea magistrale dell’Università Bocconi, ha invitato i ragazzi a riflettere sulle caratteristiche di una leadership contemporanea che sia veramente di aiuto alla società.
“Oggi siamo qui per salutare l’inizio di un nuovo viaggio, il vostro viaggio.
Tutti voi sapete da dove partite, ma nessuno di voi sa dove arriverà. E questo può far paura, ma è anche il bello della vita. Questo, dopotutto è ciò che rende la vita speciale ed unica.
Nel vostro caso, questo viaggio ha, tra le sue destinazioni, quello di diventare classe dirigente. Gli studi che state facendo e la grande scuola che avete scelto vi danno titolo ad aspirarci.
La classe dirigente, a livello internazionale, sconta una cattiva reputazione in quanto non viene considerata all’altezza dei compiti che la storia le ha assegnato. Ciò è certamente vero nel nostro Paese e vale dagli albori dello Stato italiano sino ai nostri giorni.
Se dunque essere qui oggi vi garantisce il diritto di aspirare a diventare classe dirigente, al tempo stesso essere qui vi obbliga a guadagnarvelo con il dovere della responsabilità. Dovrete distinguervi dalle classi dirigenti che vi hanno preceduto cambiando molti dei loro principi e delle loro azioni.
Dovrete far fronte alla complessità che caratterizza il nostro tempo e che subirà una ulteriore rapida accelerazione. Dovrete dotarvi di strumenti culturali adeguati e di esperienze non tradizionali.
Il vostro viaggio inizia in una fase di incertezza senza precedenti esasperata da una funesta crisi sanitaria. La profonda incertezza che logora le fondamenta della nostra comunità ha radici lontane ed effetti sia di tipo razionale che irrazionali. È a rischio il benessere che sembrava raggiunto o raggiungibile; è a rischio il lavoro, o almeno lo sono molti lavori tradizionali; è a rischio il welfare che rappresentava una conquista ormai acquisita; è a rischio la pace globale; è a rischio il pianeta. Molte esasperazioni politiche e sociali degli ultimi anni trovano in queste paure il loro innesco alle quali non fa da bilanciamento una classe dirigente capace di creare speranza e fiducia e di proporre soluzioni e progetti a lungo termine.
La sempre maggiore incertezza - che continua a crescere anche in funzione della digitalizzazione - reclama di costruire approcci mentali del tutto nuovi dove si integrano sensibilità tecnologiche e umanistiche, una nuova “noosfera”, direbbe Theillard de Chardin.
Le nuove classi dirigenti vengono chiamate a disegnare nuovi ruoli per il loro Paese. Ma per immaginare un futuro sostenibile per un Paese serve averne una visione complessiva e bisogna conoscerne il passato mentre noi studiamo poco e male la storia, soprattutto quella recente.
Il nostro futuro sarà in un mondo inevitabilmente globalizzato e fatto di potenze globali in concorrenza tra di loro: una specie di mondo a GZero. Sperabilmente sarà solo concorrenza culturale ed economica che non degeneri in campo militare. È chiaro a tutti noi Europei che solo se sapremo costruire una Unione Europea capace di muoversi da potenza globale, che non è il caso di oggi, avremo un futuro di libertà e benessere.
Quali sono, quindi, le caratteristiche che oggi dovrebbero distinguere una classe dirigente veramente utile?
Non credo sia il caso qui di ribadire l’importanza delle competenze e del rispetto della meritocrazia. Ricordatevi sempre del valore del merito, siatene testimoni e alfieri nelle grandi e nelle piccole scelte di ogni giorno. Soprattutto, nella scelta delle persone intorno a voi e dedicatevi alla loro coesione e motivazione, perché più ancora delle vostre competenze, a determinare i vostri risultati saranno le persone di cui saprete circondarvi e il clima che saprete costruire per loro e con loro.
Non potrete definirvi leader fino a quando non comincerete a crearne di nuovi intorno a voi. La migliore definizione di leader che posso darvi è questa: un leader è qualcuno che crea altri leader.
Questo non significa ovviamente che le competenze tecniche che si imparano all’università non siano importanti. Sono e restano fondamentali e ne avrete un bagaglio di partenza maggiore di molti altri grazie alla scuola che avete scelto. Ma dovrete sviluppare sul campo anche altre competenze, che definirei emotive e di cui la più importante è la capacità di gestire il cambiamento.
Oggi i leader si trovano continuamente a guidare i loro collaboratori attraversare fiumi burrascosi verso territori sconosciuti, ignoti, spesso inaspettati. Non solo per loro ma anche per gli stessi leader.
Gestire il cambiamento è tutt’altro che un processo puramente razionale: significa parlare sia alla testa che al cuore che alla pancia delle persone. Serve, innanzitutto, disegnare e indicare un futuro per il quale valga la pena di “spaccarsi la schiena”. I leader devono comprendere le ansie che il cambiamento comporta nelle persone che sono investiti dal cambiamento e gestire con cura tali ansietà. Serve coraggio, perché i nemici del cambiamento sono molti e spesso molto forti.
Una classe dirigente che vuole esser utile unisce, non divide e non si divide continuamente su tutto. Sa capire la diversità e sa combinarla con altre diversità. Non è solo tollerante, ma ricerca differenza e dissenso, perché portano valore e innovazione. Non pretende totale allineamento, ma valorizza ciò che unisce. Ricerca sempre nuovi equilibri tra valori anche contrastanti.
Guardate a cosa sta succedendo alla nostra società. La nostra società si sta spaccando e polarizzando per non saper trovare equilibrio tra valori solo apparentemente alternativi: libertà e uguaglianza, merito e solidarietà, identità e apertura, fede e laicità. In realtà si tratta di incompatibilità solo apparente perché non può esserci libertà senza uguaglianza, non può esservi valorizzazione del merito senza cura delle fragilità, non può esserci coabitazioni tra diverse civiltà senza forti identità personali e rispetto per le proprie origini. Noi siamo gli altri, siamo fatti di tante cose, siamo un parlamento interiore, direbbe Freud.
E tutto ciò non solo a parole, ma con l’esempio. La più grande forza che crea fiducia – in famiglia come in azienda come nella società - è l’esempio. Ciascuno di noi è responsabile di ciò che fa e di ciò che non fa e contribuisce non tanto per ciò che dice, ma per l’esempio concreto che ogni giorno dà con le sue posizioni e le sue azioni concrete.
È in questo senso che la classe dirigente di oggi deve riscoprire un’idea positiva dell’ambizione, che non ha nulla a che fare con l’arroganza. Ricordatevi che non c’è niente di male nell’ambizione, anzi.
Dobbiamo semmai essere più ambiziosi anche a livello nazionale e, dicendo questo, mi riferisco in particolare al mio Paese.
Basta con il complesso di Calimero!
Troppo spesso sottovalutiamo le possibilità del nostro Paese e con esse il nostro ruolo nel raggiungerle. Troppo spesso indulgiamo nel dileggio dell’Italia, attività che è diventata uno sport nazionale, tipica di molti connazionali che ricoprono talvolta cariche elevate, e che però è solo nostra, non esiste in nessuna altra grande nazione.
Troppo spesso inculchiamo ai nostri giovani la convinzione che “in Italia non si può” e quindi cerchiamo scuse e alibi per i nostri fallimenti: la burocrazia, i sindacati, le infrastrutture, ecc.
Questa narrazione autoindulgente e vittimistica va rifiutata con orgoglio. Ma soprattutto è falsa. In Italia si può, eccome, realizzare grandi progetti. E si può, eccome, farlo anche in tempi limitati quando ci si mette nel modo giusto e con le persone giuste! In Italia non solo si può, ma spesso si è più bravi di quanto succeda in altri paesi che godono di migliore stampa.
La vita continua a farmi incontrare persone che lo dimostrano. E la vita me ne ha data anche dimostrazione concreta. Faccio tre esempi di vicende vissute direttamente che mi hanno convinto che “anche in Italia si può” e mi stimolano ad andare “oltre”: Poste Italiane, Intesa SanPaolo e illimity.
Quando abbiamo iniziato a ripensare il sistema postale italiano, quasi tutti dicevano che non era possibile trasformare quella immensa burocrazia in una azienda moderna, efficace, capace di mutare il proprio DNA. E invece i “postali” ce l’hanno fatta in pochi anni e oggi Poste Italiane è un esempio positivo a livello mondiale.
Intesa SanPaolo è diventata una delle migliori banche europee sia per risultati che per responsabilità sociale, ma quando abbiamo avviato il processo di consolidamento a livello nazionale eravamo solo una media banca locale. Non in molti avrebbero scommesso che una banca italiana si sarebbe trovata nelle posizioni di testa in Europa in pochi anni.
illimity tre anni fa era la PowerPoint presentation di una nuova startup e oggi è una delle prime banche di nuovo paradigma e ha attirato quasi 700 talenti da oltre 200 diverse organizzazioni. Cresciamo e facciamo utili. Siamo orgogliosi di sentirci utili perché ci occupiamo di quel credito “difficile” che molte altre banche sottovalutano: credito alla crescita, credito di ristrutturazione e distressed credit nel mondo delle PMI.
Le leve del successo in tutti e tre i casi sono sempre state le stesse: persone e innovazione.
Per essere un buon leader si deve amare il successo. Ciò di cui vorrei convincervi è che non va amato solo il proprio successo, ma anche quello degli altri. E qui c’è un’altra cattiva abitudine della nostra classe dirigente che dobbiamo correggere. Basta con la Top Poppy Syndrome! Il papavero che riesce a crescere più alto non va tagliato, va ammirato, emulato, aiutato perché rappresenta un esempio positivo. La tendenza dell’establishment, non solo italiano, di cercare i modi più diversi per bloccare chi innova, chi va più veloce, chi riesce è un virus pericoloso che non deve contagiarvi.
Da tutto questo emerge un profilo abbastanza preciso di una classe dirigente utile per sé stessa e per l’intera società. Voi sarete chiamati a fare evolvere il nostro sistema capitalistico verso un capitalismo più responsabile. Tre le direzioni prioritarie e in tutte e tre la responsabilità del privato e del pubblico si intersecano profondamente:
• Un capitalismo più responsabile socialmente: vanno corretti gli eccessi di un sistema che tende per sua natura a esasperare le diseguaglianze e a tollerare fasce di estremo disagio. Ma gli strumenti li abbiamo: dall’istruzione, al welfare alla vera meritocrazia in tutti i campi.
• Un capitalismo più responsabile ecologicamente: la legittimazione di un sistema economico viene anche dalla sua capacità di consegnare alle generazioni future un pianeta più sostenibile di quello ricevuto. Tocchiamo con mano che oggi non stiamo andando in questa direzione.
• Un capitalismo più responsabile finanziariamente: la finanza fine a sé stessa, l’esplosione del debito, la concentrazione di potere finanziario vanno corrette attraverso regole e sanzioni legali oltre che sociali. La filosofia della sostenibilità, anche se più accettata, non è ancora stata pienamente colta e diffusa nel concreto.
Una classe dirigente che voglia essere utile deve sentirsi investita della costruzione del bene comune. Se non sarà in grado di fare fronte a queste tre sfide, se non saprà lavorare nell’interesse comune oltre che nel proprio, la nuova classe dirigente avrà fallito il proprio compito.
Un’ultima parola sul bene comune è necessaria. Il bene comune è una responsabilità condivisa e non completamente delegabile a nessuno, nemmeno allo Stato. Non date retta a chi dice che il bene comune deriva automaticamente dal perseguimento dei singoli interessi, al soddisfacimento degli animal spirits. Non è vero e basta anche solo guardare i danni e le aberrazioni che sono derivati da questa specie di ideologia. Quella è stata un’interpretazione del tutto superficiale della “mano invisibile” del mercato che Adam Smith non aveva certo in mente e che lo farebbe rigirare nella tomba se ne sentisse parlare. Perseguire esclusivamente il proprio personale interesse non solo non crea bene comune ma spesso lo impedisce.
Oggi non si può non essere consapevoli che partecipiamo tutti a una unica comunità planetaria - come direbbe Edgar Morin -, siamo tutti esseri accomunati da un unico destino globale che richiede una nuova idea di salvezza e di realizzazione. Non c’è ovviamente nulla di male nel pensare a sé stessi, alla propria famiglia, alla propria impresa, ma per potersi considerare a buon titolo classe dirigente occorre restituire una parte di sé – della propria azione, del proprio tempo, del proprio successo - alla comunità.
Oggi ci sono tanti modi di restituire. Nel settore privato, anche nelle varie forme associative, nel settore pubblico e attraverso le organizzazioni no profit e le NGOs. Nessuno di questi tre mondi è perfetto e nessuno ha il monopolio della virtù: i più grandi risultati vengono, però, quando si riesce a lavorare insieme, valorizzando le differenze e rendendo comunicanti mondi apparentemente impermeabili.
Infine, una classe dirigente è tale se è capace di assumersi concretamente la responsabilità, cioè se sa sporcarsi le mani perché “è difficile fare del bene senza sporcarsi le mani” come dice Papa Francesco. Per farlo occorre la passione per la realtà, ma anche lo spirito di gioventù che non è un dato biologico che finisce dopo un certo numero di anni, ma uno stato dello spirito. Spirito di gioventù significa assoluto amore per la libertà: mai - neanche una volta – scambiate libertà per un pezzo di successo. Gioventù è la vittoria del coraggio sulla paura, è non abbandonare i nostri ideali, è aver fiducia in sé stessi e negli altri.
Gioventù è guardare avanti ed essere aperti a tutto.
Tanto altro vorrei dirvi se avessi il tempo.
Portate comunque con voi questo ultimo pensiero: leader non si nasce, si impara a diventarlo.
Congratulazione per la scelta del percorso che avete intrapreso: il meglio deve ancora venire!”